Ognuno di noi, quando finisce un compito, ne valuta la riuscita e tende a dare una spiegazione sul perché sia andato bene o male. A volte possiamo dare la responsabilità dell’esito a noi stessi, altre a persone coinvolte o alle situazioni, altre ancora alla fortuna… Inconsapevolmente stiamo attuando uno schema ben preciso che individua a chi o cosa diamo il merito/demerito delle nostre azioni.
Le cause di una performance
Per Weiner (1985) spieghiamo le nostre performance in base a tre fattori.
- Locus of control (“luogo del controllo”): questa espressione si riferisce alla definizione di chi o cosa materialmente determina l’azione, se qualcosa o qualcuno di esterno a noi oppure noi stessi (luogo interno).
- Stabilità: indica la convinzione che abbiamo sul persistere temporale della causa, se è duratura (stabile) o meno (instabile).
- Controllabilità: a differenza del primo punto, con questo fattore si definisce se abbiamo la possibilità di agire sul motivo che spiega la nostra performance, che sia interno o esterno.
Per fare un esempio, noi possiamo dare la colpa di una partita storta al terreno di gioco pesante per la pioggia, attribuendo la prestazione a qualcosa di esterno a noi, incontrollabile (condizioni atmosferiche) e instabile (non pioverà per sempre). Consapevoli, però, che pioveva per tutte le persone coinvolte, potremmo dare la “responsabilità” della cattiva performance a una scarsa preparazione a gareggiare in quelle condizioni (attribuzione interna), quindi a qualcosa di controllabile (perché possiamo variare le nostre azioni per essere pronti in una prossima occasione).
Attribuzione ed autostima
Le diverse attribuzioni hanno inevitabilmente, per Weiner (1985), effetto sulla nostra autostima. Questa può essere favorita se concepiamo ottime prestazioni come dovute a cause interne, stabili e controllabili (es. “ho vinto perché mi alleno bene”) e pessime performance a ragioni esterne, instabili e controllabili (es. “ho perso perché le scarpe si sono rotte, le cambierò”). Al contrario l’autostima può diminuire se vediamo ottime prestazioni come frutto di fattori esterni, instabili e incontrollabili (es. “Ho vinto la corsa solo perché i più forti sono stati squalificati”) o pessime performance a motivi interni, stabili e incontrollabili (es. “ho perso perché fisicamente non posso essere veloce come gli altri sui 100mt”).
Ottimismo e pessimismo
Un punto di vista più recente, seppure simile, è quello di Seligman (2009), secondo cui il modo in cui valutiamo e giudichiamo gli eventi positivi/negativi (detto stile esplicativo) è determinato dall’incrocio di tre dimensioni fondamentali.
- Pervasività: se le ragioni dei propri successi o fallimenti è dovuta a situazioni specifiche o meno.
- Permanenza: quanto la causa degli eventi sia stabile nel tempo o transitoria.
- Personalizzazione: l’attribuzione di eventi positivi o negativi a fattori esterni o a noi stessi.
In base a questi tre criteri, Seligman definisce sia un stile esplicativo ottimistico che pessimistico. Gli ottimisti saranno coloro che considerano gli eventi positivi come dovuti alle proprie caratteristiche, generali e durature nel tempo (es. ho vinto perché sono sempre stato bravo negli sport); un pessimista, al contrario, vedrà le circostanze favorevoli come frutto di specifici e variabili fattori esterni (es. ho vinto perché il mio avversario si è infortunato).
Ancora, gli ottimisti vedranno situazioni negative come effetto di circoscritti e provvisori agenti esterni (es. ho perso perché mi si è rotto il laccio della scarpa), i pessimisti, al contrario, le riterranno il risultato dell’azione di cause permanenti, personali e generali (es. ho perso perché sono un buono a nulla!).
Ovviamente ci sono tante sfumature, è difficile trovare persone totalmente ottimiste e altre totalmente pessimiste. Tra l’altro l’autore sottolinea come il pessimismo non sia sempre negativo, soprattutto perché permette a volte di considerare le cose con più oggettività rispetto a chi vede tutto come roseo, magari volendo nascondere rischi, pericoli o errori.
Effetti dell’ottimismo
Secondo Seligman (2009) il modo in cui l’atleta spiega successi e insuccessi influisce sull’esito delle sue performance. Nello specifico, per lui una persona ottimista ha queste caratteristiche.
- E’ concentrato sul proprio compito.
- Accetta gli eventi stressanti, imparando da situazioni difficili.
- Interpreta gli insuccessi in termini di impegno insufficiente, scelte sbagliate, ma non come frutto di mancate capacità.
Da ciò che hai potuto leggere, avrai intuito come l’interpretazione delle cose che ci accadono possa incidere sulle nostre azioni. Lavorando sui diversi stile di attribuzione, guardando le varie situazioni passate da diverse angolazioni, dunque, si può migliorare l’approccio all’attività agonistica.
Bibliografia
Weiner, B. (1985). An attribuitional theory of achievement motivation and emotion. Psychological Review, 92. pp.548-573.
Seligman, M.D.E. (2009). Imparare L’ottimismo. Giunti Editore: Firenze.
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