Overconfidence

overconfidence

Alcune volte mi è capitato di vedere atleti sicuri di sé, convinti di riuscire a vincere, ma che una volta in gara non si impegnavano come al solito, a tal punto da essere spiazzati dalla performance dell’avversario e non riuscire a batterlo. Quando la fiducia che abbiamo nelle nostre capacità è troppo alta, il rischio è che si trasformi in compiacimento di se stessi, nella credenza di poter trionfare senza impegnarsi al massimo (Perry, 2015).

Vancouver et. al. (2010) suggeriscono che quando la fiducia (o confidence) è molto elevata e si vede il “traguardo” da raggiungere come vicino, la distanza virtuale tra ciò che vorremmo e ciò che possiamo avere si riduce tanto da indurre ad impegnarsi di meno. Ad esempio, prova a pensare ad un tennista tra i primi 10 al mondo che affronta un avversario posizionato oltre la centesima posizione del ranking: se il primo tenderà a credere di avere “vita facile”, magari finirà per risparmiare energie; se il secondo riesce a segnare dei punti inaspettati, prenderà coraggio e inizierà a mettere in difficoltà il più quotato collega, questo forse dovrà impegnarsi di più per vincere il match.

La troppa fiducia nei propri mezzi che ha vissuto il “campione” di tennis è detta overconfidence. 

Bandura e Locke (2003) sottolineano come una dose di incertezza sull’esito di un compito sia salutare per evitare che si crei una situazione di eccessiva fiducia. Tra l’altro ciò permette anche di non prendersi rischi inutili che possano compromettere la gara (Campbell et al., 2004). Pensa se un pilota di F1, convinto delle sue possibilità di sorpassare un avversario, uscisse di pista per aver tentato una manovra azzardata.

Come evitarla

Riassumendo, ovviamente dare il massimo aiuta a limitare gli effetti dell’overconfidence. Qualora fosse difficile, potremmo provare a cambiare prospettiva. Prendiamo in considerazione la Goal Setting Theory di Latham e Locke (1990), per cui una delle caratteristiche essenziali di un buon obiettivo è che sia per noi sfidante: ci impegneremmo di più per una cosa che siamo consapevoli sia ampiamente alla nostra portata o per ottenerne un’altra più difficile, seppur raggiungibile? Riprendendo il caso del tennista, forse concentrarsi su riprodurre bene gesti tecnici appena perfezionati in allenamento avrebbe rappresentato una sfida più stimolante, limitando gli effetti negativi di uno scarso rendimento.

Bibliografia

Bandura, A.; Locke, E.A. (2003). Negative self-efficacy and goal effects revisited. Journal of Applied Sport Psychology, vol. 88, 1, pp.87-99.

Campbell, W.K.; Goodie, A.S.; Foster, J.D. (2004). Narcissism, confidence e risk attitude. Journal of Behaviour Decision Making, vol. 17, pp. 297-311.

Locke, E.A.; Latham G.P. (1990). A theory of goal setting and task performance. Prentice Hall:New York.

Perry, J. (2015). Sport psychology: a complete introduction. Hodder & Stoughton, Great Britain.

Vancouver, J.B., Weinhardt, J. M.; Schmidt, A.M. (2010). A formal, computational theory of multiple goal pursuit: integration goal-choice and goal-striving processes. Journal of Applied Sport Psychology, vol. 95, pp.985-1008.

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