Ognuno di noi si è trovato a dover affrontare un evento senza il giusto piglio, non perché demotivati, ma semplicemente a causa di un eccessivo nervosismo o stato di rilassamento (in particolari in situazioni in cui la giusta dose di “adrenalina” poteva aiutare ad essere più reattivi fisicamente e psicologicamente). In questi casi si dice che non si era al “giusto livello di arousal”.
È importante distinguere subito tra due termini spesso usati, impropriamente, come sinonimi (Barry et. al., 2005):
- l’arousal, ovvero lo stato energetico momentaneo dell’organismo;
- l’attivazione, che è il cambiamento del livello dello stesso arousal nel tempo.
Mentre il primo, quindi, rappresenta come ci sentiamo (ad esempio troppo agitati o troppo calmi), il secondo è il processo che ci porta a modulare le nostre sensazione verso uno stato ottimale per compiere un’azione (rilassandoci o “caricandoci”).
Come agisce
Nel corso del tempo, per spiegare come l’attivazione possa incidere sulla performance, sono state elaborate diverse teorie, riconducibili a due approcci.
- Unidimensionale: il livello di arousal dipende solo da quanto siamo attivati fisiologicamente, come nel caso della teoria dell’U capovolta di Yerkes & Dodson (1908), per cui ognuno di noi ha uno “stato ideale” in cui agire, al di sotto del quale si prova noia e al di sopra agitazione, entrambe poco funzionali alla prestazione.
- Multidimensionale: l’attivazione dipende, oltre che dallo stato fisiologico, anche da altri fattori, come ad esempio l’ansia derivante dall’aspettativa di non gareggiare al meglio (teoria della catastrofe, Fazey & Hardy, 1988) oppure la motivazione non idonea a svolgere un compito (Reversal Theory rivista da Kerr nel 1987).
Cosa fare
Capita spesso che un atleta si rivolga ad uno psicologo per imparare l’attivazione. Come sottolinea Franzoni (2011), le tecniche utilizzate possono essere di tre tipi.
- Fisiche: basate sull’uso della respirazione, soprattutto nelle fasi in cui si vuole ridurre l’arousal (es. rilassamento progressivo di Jacobson, 1938).
- Cognitive: hanno l’intento di vedere le proprie azioni positivamente e/o sotto l’ottica giusta, portando a concentrarsi principalmente sul compito (anche attraverso l’uso dell’imagery).
- Miste: il giusto mix di tecniche appartenenti alle due categorie precedenti.
Come psicologo mi trovo spesso a lavorare sull’attivazione dell’atleta, in particolare quando prepariamo l’approccio alle gare. Il mio compito è saper capire insieme alla persona quale è il giusto stato psicofisiologico per gareggiare e trovare le modalità opportune per ricrearlo quando necessario.
Bibliografia
Barry, R.J.; Clarke, A.R.; McCarthy, R.; Selikowitz, M.; Rushby, J.A.(2005). Arousal and activation in a continuous performance of young swimmers. Applied psychology: an international review, 51, pp. 567-581.
Fazey, J.; Hardy, L. (1988). The Inverted U hypothesis: a catastrophe for sport psychology?. British associations of sport psychology: Leeds.
Franzoni, S. (2011). Attivazione e disattivazione nello sport. In F. Lucidi (2011), Sportivamente, pp. 365-399. Led Edizioni: Milano.
Hull, C.L. (1943). Principles of behavior. Appleton century croft: New York.
Jacobson, E. (1938). Progressive relaxation. University of Chicago press: Chicago.
Kerr, J.H. (1987). Cognitive intervention with elite performers: reversal theory. Brtish journal of sports medicine, 21, pp. 29-33
Yerkes, R.M.; Dodson, J.D. (1908). The relation of strenght of stimulus to rapidity of habit formation. Journal of comparative neurology and pshychology, 18, pp. 459-482.
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