La comunicazione nello sport

La comunicazione nello sport

Si può comunicare stando semplicemente seduti da soli a bordi di una panchina e con gli auricolari nelle orecchie? E’ possibile fornire un messaggio a chi ci sta vicino anche solo frugando nervosamente nella borsa?

Tutti noi, ogni giorno, abbiamo una serie di scambi comunicativi con chi ci circonda, volontari o meno. In questo processo possono essere implicate non solo le parole, ma anche i gesti e le espressioni del nostro volto o il tono della nostra voce (Anolli, 2012). Il messaggio che noi mandiamo viene recepito da qualcuno che tenderà a capirlo in base a quelle che sono le proprie conoscenze. Ad esempio, strofinare il naso con quello di un’altra persona ha senso tra gli eschimesi (per cui equivale al saluto con un bacio), da noi verrebbe visto come un comportamento strano.

Gli assiomi della comunicazione

Watzlawick e colleghi (1967) hanno spiegato molto bene alcuni principi in base ai quali interagiamo.

  1. E’ impossibile non comunicare (se due o più persone condividono lo stesso spazio). Riprendendo l’esempio iniziale, una persona che si siede sull’autobus da sola con l’auricolare alle orecchie ci potrebbe indurre a pensare che forse che non vuole contatti con gli altri.
  2. Ogni comunicazione esprime una relazione. Nel momento in cui interagiamo con qualcuno, si crea o si esprime un rapporto, di parità o meno: se parliamo col nostro capo o il professore avremo probabilmente un tono e un modo di porci più reverenziale rispetto ad un amico.
  3. La relazione dipende dalla punteggiatura degli scambi comunicativi. È diverso dire la frase “mi prendi il telefono?” (chiara richiesta) da “mi prendi il telefono” (che è un’affermazione che indica la sicurezza che l’azione sarà svolta dall’interlocutore). La modalità utilizzata per approcciarsi agli altri individua i termini di forza e/o il tipo di rapporto.
  4. La comunicazione può essere analogica e/o digitale. La prima possibilità implica l’uso di gesti mentre ci si guarda o si è nello stesso spazio, la seconda l’utilizzo delle parole anche attraverso mezzi come la carta o il display di un telefono, senza che ci sia la possibilità di creare relazione diretta o far vedere le proprie emozioni.
  5. L’interazione può essere complementare o simmetrica. Riprendendo il punto due, la comunicazione espressa tra due o più persone individua un rapporto di forza o di parità tra gli attori, la quale, a seconda dei contesti, può essere anche temporanea. Ad esempio, se conosciamo la strada per raggiungere un luogo mentre il nostro compagno di viaggio no, potremmo essere con lui più direttivi (complementarietà); in altri casi, come la scelta su cosa fare, potremmo decidere serenamente di comune accordo (simmetria).

Quindi, noi forniamo delle informazioni anche quando gesticoliamo, ci muoviamo, tocchiamo qualcuno. Anche se non usiamo un codice scritto o orale potremmo riuscire comunque a far capire ciò che pensiamo.

Tipi di comunicazione non verbale

Se non usciamo le parole, possiamo esprimerci attraverso quattro modalità (Anolli, 2012).

  • Cinesica. Le espressioni del nostro volto, i gesti, i movimenti del nostro corpo sono indicatori di ciò che stiamo pensando o di emozioni: le informazioni che prendiamo in questo modo spesso completano o sostituiscono quelle emerse dalla comunicazione verbale.
  • Paraverbale. Il tono della nostra voce, comprese le inflessioni, ci fanno capire il senso delle frasi (es. affermativa o interrogativa) e quale rapporto c’è fra due persone: “mi aiuti adesso!” implica una richiesta quasi impositiva, esprimersi con un “mi aiuti adesso?” delinea una richiesta.
  • Prossemica. La posizione in cui ci disponiamo nello spazio rispetto alle cose o alla gente. Se in uno spazio con poche persone conosciute stiamo lontano da tutti, probabilmente questo potrà essere letto come voglia di stare per i fatti propri.
  • Aptica. Individua il modo ci relazioniamo con un contatto fisico: se stringiamo la mano ad una persona che ci è stata appena presentata diamo un’immagine diversa rispetto a non farlo.

Non sempre, però, riusciamo a percepire esattamente cosa sta comunicando una persona. Se un ragazza si siede nell’angolo di una panchina, tale gesto può essere interpretato come la volontà di non avere relazioni con gli altri, isolarsi; può essere, però che la scelta sia dovuta ad una specie di preferenza verso quel tipo di posto. Quando percepiamo un comunicazione non verbale, noi lo interpretiamo in base alle nostre conoscenze o esperienze passate: se sappiamo che un’espressione di un compagno vuol dire che è arrabbiato lo capiremo subito, ma se l’allenatore non lo sa, potrebbe non darci peso. 

Non verbale e sport

Saper usare questo tipo di comunicazione è utilissimo in ambito sportivo. Basti pensare a quelle situazioni in cui l’allenatore è lontano da un atleta e per farsi capire accompagna le parole a gesti ben visibili. Ma anche “leggere” le espressioni degli altri fornisce l’opportunità di intuire qualcosa che può essere utile negli allenamenti o in gara. Riprendendo l’esempio dell’atleta arrabbiato, se l’allenatore capisse questa emozione dal volto del ragazzo, magari potrebbe intervenire per calmarlo e consentirgli di affrontare l’attività più serenamente.

Mi capita spesso di condurre lezioni sul tema trattato in questo articolo: attraverso dei giochi spesso faccio capire l’importanza dell’uso del linguaggio non verbale e questo fa si che ci sia più consapevolezza da parte di atleti e tecnici su come comunicano.

Bibliografia

Anolli, L. (2012). Fondamenti di psicologia della comunicazione. Bologna: Il Mulino.

Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Roma: Astrolabio.

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